domingo, 31 de outubro de 2010

Leone XIII Annum sacrum Lettera Enciclica La consacrazione dell’umanità al sacro Cuore di Gesù : Si deve tener presente soprattutto ciò che Gesù Cristo, non attraverso i suoi apostoli e profeti, ma con le stesse sue parole ha affermato del suo potere. Al governatore romano che gli chiedeva: "Dunque tu sei re", egli, senza esitazione, rispose: "Tu lo dici; io sono re" (Gv 18,37). La vastità poi del suo potere e l’ampiezza senza limiti del suo regno sono chiaramente confermate dalle parole rivolte agli apostoli: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra" (Mt 28,18). Se a Cristo è stato concesso ogni potere, ne segue necessariamente che il suo dominio deve essere sovrano, assoluto, non soggetto ad alcuno, tanto che non ne può esistere un altro ne uguale ne simile.


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Leone XIII
Annum sacrum


Lettera Enciclica


La consacrazione dell’umanità al sacro Cuore di Gesù
25 maggio 1899
Con nostra lettera apostolica abbiamo recentemente promulgato, come ben sapete, l’anno santo, che, secondo la tradizione, dovrà essere tra poco celebrato in quest’alma città di Roma. Oggi, nella speranza e nell’intenzione di rendere più santa questa grande solennità religiosa, proponiamo e raccomandiamo un altro atto veramente solenne. E abbiamo tutte le ragioni, se esso sarà compiuto da tutti con sincerità di cuore e con unanime e spontanea volontà, di attenderci frutti straordinari e duraturi a vantaggio della religione cristiana e di tutto il genere umano.
Più volte, sull’esempio dei nostri predecessori Innocenze XII, Benedetto XIII, Clemente XIII, Pio VI, Pio VII, Pio IX, ci siamo adoperati di promuovere e di mettere in sempre più viva luce quella eccellentissima forma di religiosa pietà, che è il culto del sacratissimo Cuore di Gesù. Tale era lo scopo principale del nostro decreto del 28 giugno 1889, col quale abbiamo innalzato a rito di prima classe la festa del sacro Cuore. Ora però pensiamo a una forma di ancor più splendido omaggio, che sia come il culmine e il coronamento di tutti gli onori, che sono stati tributati finora a questo Cuore sacratissimo e abbiamo fiducia che sia di sommo gradimento al nostro redentore Gesù Cristo. La cosa, in verità, non è nuova. Venticinque anni fa infatti, all’approssimarsi del II centenario diretto a commemorare la missione che la beata Margherita Maria Alacoque aveva ricevuto dall’alto, di propagare il culto del divin Cuore, da ogni parte, non solo da privati, ma anche da vescovi, pervennero numerose lettere a Pio IX, con le quali si chiedeva che si degnasse di consacrare il genere umano all’augustissimo Cuore di Gesù. Si preferì, in quelle circostanze, rimandare la cosa per una decisione più matura; nel frattempo si dava facoltà alle città, che lo desideravano, di consacrarsi con la formula prescritta. Sopraggiunti ora nuovi motivi, giudichiamo maturo il tempo di realizzare quel progetto.
Questa universale e solenne testimonianza di onore e di pietà è pienamente dovuta a Gesù Cristo proprio perché re e signore di tutte le cose. La sua autorità infatti non si estende solo ai popoli che professano la fede cattolica e a coloro che, validamente battezzati, appartengono di diritto alla chiesa (anche se errori dottrinali li tengono lontani da essa o dissensi hanno infranto i vincoli della carità), ma abbraccia anche tutti coloro che sono privi della fede cristiana. Ecco perché tutta l’umanità è realmente sotto il potere di Gesù Cristo. Infatti colui che è il Figlio unigenito del Padre e ha in comune con lui la stessa natura, "irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza" (Eb 1,3), ha necessariamente tutto in comune con il Padre e quindi il pieno potere su tutte le cose. Questa è la ragione perché il Figlio di Dio, per bocca del profeta, può affermare: "Sono stato costituito sovrano su Sion, suo monte santo. Il Signore mi ha detto: Tu sei mio Figlio; io oggi ti ho generato. Chiedi a me e ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra" (Sal 2,6-8). Con queste parole egli dichiara di aver ricevuto da Dio il potere non solo su tutta la chiesa, raffigurata in Sion, ma anche su tutto il resto della terra, fin dove si estendono i suoi confini. Il fondamento poi di questo potere universale è chiaramente espresso in quelle parole: "Tu sei mio Figlio". Per il fatto stesso di essere il figlio del re di tutte le cose, è anche erede del suo potere universale. Per questo il salmista continua con le parole: "Ti darò in possesso le genti". Simili a queste sono le parole dell’apostolo Paolo: "L’ha costituito erede di tutte le cose" (Eb 1,2).
Si deve tener presente soprattutto ciò che Gesù Cristo, non attraverso i suoi apostoli e profeti, ma con le stesse sue parole ha affermato del suo potere. Al governatore romano che gli chiedeva: "Dunque tu sei re", egli, senza esitazione, rispose: "Tu lo dici; io sono re" (Gv 18,37). La vastità poi del suo potere e l’ampiezza senza limiti del suo regno sono chiaramente confermate dalle parole rivolte agli apostoli: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra" (Mt 28,18). Se a Cristo è stato concesso ogni potere, ne segue necessariamente che il suo dominio deve essere sovrano, assoluto, non soggetto ad alcuno, tanto che non ne può esistere un altro ne uguale ne simile. E siccome questo potere gli è stato dato e in cielo e in terra, devono stare a lui soggetti il cielo e la terra. Di fatto egli esercitò questo suo proprio e individuale diritto quando ordinò agli apostoli di predicare la sua dottrina, di radunare, per mezzo del battesimo, tutti gli uomini nell’unico corpo della chiesa, e di imporre delle leggi, alle quali nessuno può sottrarsi senza mettere in pericolo la propria salvezza eterna.
E non è tutto. Cristo non ha il potere di comandare soltanto per diritto di nascita, essendo il Figlio unigenito di Dio, ma anche per diritto acquisito. Egli infatti ci ha liberato "dal potere delle tenebre" (Col 1,13) e "ha dato se stesso in riscatto per tutti" (1Tm 2,6). E perciò per lui non soltanto i cattolici e quanti hanno ricevuto il battesimo, ma anche tutti e singoli gli uomini sono diventati "un popolo che egli si è conquistato" (1Pt 2,9). A questo proposito sant’Agostino osserva giustamente: "Volete sapere che cosa ha comprato? Fate attenzione a ciò che ha dato e capirete che cosa ha comprato. Il sangue di Cristo: ecco il prezzo. Che cosa può valere tanto? Che cosa se non il mondo intero? Per tutto ha dato tutto".
San Tommaso, trattando della questione, indica perché e come gli infedeli sono soggetti al potere e alla giurisdizione di Gesù Cristo. Posto infatti il quesito se il suo potere di giudice si estenda o no a tutti gli uomini, risponde che, siccome "il potere di giudice è una conseguenza del potere regale", si deve concludere che "quanto alla potestà, tutto è soggetto a Gesù Cristo. anche se non tutto gli è soggetto quanto all’esercizio del suo potere". Questa potestà e questo dominio sugli uomini lo esercita per mezzo della verità, della giustizia, ma soprattutto per mezzo della carità.
Tuttavia Gesù, per sua bontà, a questo suo duplice titolo di potere e di dominio, permette che noi aggiungiamo, da parte nostra, il titolo di una volontaria consacrazione. Gesù Cristo, come Dio e Redentore, è senza dubbio in pieno e perfetto possesso di tutto ciò che esiste, mentre noi siamo tanto poveri e indigenti da non aver nulla da potergli offrire come cosa veramente nostra. Tuttavia, nella sua infinita bontà e amore, non solo non ricusa che gli offriamo e consacriamo ciò che è suo, come se fosse bene nostro, ma anzi lo desidera e lo domanda: "Figlio, dammi il tuo cuore" (Pro 23,26). Possiamo dunque con la nostra buona volontà e le buone disposizioni dell’animo fare a lui un dono gradito. Consacrandoci infatti a lui, non solo riconosciamo e accettiamo apertamente e con gioia il suo dominio, ma coi fatti affermiamo che, se quel che offriamo fosse veramente nostro, glielo offriremmo lo stesso di tutto cuore. In più lo preghiamo che non gli dispiaccia di ricevere da noi ciò che, in realtà, è pienamente suo. Così va inteso l’atto di cui parliamo e questa è la portata delle nostre parole.
Poiché il sacro Cuore è il simbolo e l’immagine trasparente dell’infinita carità di Gesù Cristo, che ci sprona a rendergli amore per amore, è quanto mai conveniente consacrarsi al suo augustissimo Cuore, che non significa altro che donarsi e unirsi a Gesù Cristo. Ogni atto di onore, di omaggio e di pietà infatti tributati al divin Cuore, in realtà è rivolto allo stesso Cristo.
Sollecitiamo pertanto ed esortiamo tutti coloro che conoscono e amano il divin Cuore a compiere spontaneamente questo atto di consacrazione. Inoltre desideriamo vivamente che esso si compia da tutti nel medesimo giorno, affinchè i sentimenti di tante migliaia di cuori, che fanno la stessa offerta, salgano tutti, nello stesso tempo, al trono di Dio.
Ma come potremo dimenticare quella stragrande moltitudine di persone, per le quali non è ancora brillata la luce della verità cristiana? Noi teniamo il posto di colui che è venuto a salvare ciò che era perduto e diede il suo sangue per la salvezza di tutti gli uomini. Ecco perché la nostra sollecitudine è continuamente rivolta a coloro che giacciono ancora nell’ombra di morte e mandiamo dovunque missionari di Cristo per istruirli e condurli alla vera vita. Ora, commossi per la loro sorte, li raccomandiamo vivamente al sacratissimo Cuore di Gesù e, per quanto sta in noi, a lui li consacriamo.
In tal modo questa consacrazione che esortiamo a compiere, potrà giovare a tutti. Con questo atto, infatti, coloro che già conoscono e amano Gesù Cristo, sperimenteranno facilmente un aumento di fede e di amore. Coloro che, pur conoscendo Cristo trascurano l’osservanza della sua legge e dei suoi precetti, avranno modo di attingere da quel divin Cuore la fiamma dell’amore. Per coloro infine che sono più degli altri infelici, perché avvolti ancora nelle tenebre del paganesimo, chiederemo tutti insieme l’aiuto del cielo, affinchè Gesù Cristo, che li tiene già soggetti "quanto al potere", li possa anche avere sottomessi "quanto all’esercizio di tale potere". E preghiamo anche che ciò si compia non solo nel mondo futuro, "quando egli eseguirà pienamente su tutti la sua volontà, salvando gli uni e castigando gli altri", ma anche in questa vita terrena con il dono della fede e della santificazione, in modo che, con la pratica di queste virtù, possano onorare debitamente Dio e tendere così alla felicità del cielo.
Tale consacrazione ci fa anche sperare per i popoli un’era migliore; può infatti stabilire o rinsaldare quei vincoli, che, per legge di natura, uniscono le nazioni a Dio.
In questi ultimi tempi si è fatto di tutto per innalzare un muro di divisione tra la chiesa e la società civile. Nelle costituzioni e nel governo degli stati, non si tiene in alcun conto l’autorità del diritto sacro e divino, nell’intento di escludere ogni influsso della religione nella convivenza civile. In tal modo si intende strappare la fede in Cristo e, se fosse possibile, bandire lo stesso Dio dalla terra. Con tanta orgogliosa tracotanza di animi, c’è forse da meravigliarsi che gran parte dell’umanità sia stata travolta da tale disordine e sia in preda a tanto grave turbamento da non lasciare vivere più nessuno senza timori e pericoli? Non c’è dubbio che, con il disprezzo della religione, vengono scalzate le più solide basi dell’incolumità pubblica. Giusto e meritato castigo di Dio ai ribelli che, abbandonati alle loro passioni e schiavi delle loro stesse cupidigie, finiscono vittime del loro stesso libertinaggio.
Di qui scaturisce quella colluvie di mali, che da tempo ci minacciano e ci spingono con forza a ricercare l’aiuto in colui che solo ha la forza di allontanarli. E chi potrà essere questi se non Gesù Cristo, l’unigenito Figlio di Dio? "Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,12). A lui si deve ricorrere, che è "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). Si è andati fuori strada? bisogna ritornare sulla giusta via. Le tenebre hanno oscurato le menti? è necessario dissiparle con lo splendore della verità. La morte ha trionfato? bisogna attaccarsi alla vita.
Solo così potremo sanare tante ferite. Solo allora il diritto potrà riacquistare l’autentica autorità; solo così tornerà a risplendere la pace, cadranno le spade e sfuggiranno di mano le armi. Ma ciò avverrà solo se tutti gli uomini riconosceranno liberamente il potere di Cristo e a lui si sottometteranno; e ogni lingua proclamerà "che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" (Fil 2,11).
Quando la chiesa nascente si trovava oppressa dal giogo dei Cesari, a un giovane imperatore apparve in cielo una croce auspice e nello stesso tempo autrice della splendida vittoria che immediatamente seguì. Ecco che oggi si offre ai nostri sguardi un altro divinissimo e augurale segno: il Cuore sacratissimo di Gesù, sormontato dalla croce e splendente, tra le fiamme, di vivissima luce. In lui sono da collocare tutte le nostre speranze; da lui dobbiamo implorare e attendere la salvezza.
Infine non vogliamo passare sotto silenzio un motivo, questa volta personale, ma giusto e importante, che ci ha spinto a questa consacrazione: l’averci Dio, autore di tutti i beni, scampato non molto tempo addietro da pericolosa infermità. Questo sommo onore al Cuore sacratissimo di Gesù, da noi promosso, vogliamo che rimanga memoria e pubblico segno di gratitudine di tanto beneficio.
Ordiniamo perciò che, nei giorni 9, 10 e 11 del prossimo mese di giugno, nella chiesa principale di ogni città o paese, alla recita delle altre preghiere si aggiungano ogni giorno anche litanie del sacro Cuore da noi approvate. Nell’ultimo giorno poi si reciti, venerabili fratelli, la formula di consacrazione, che vi mandiamo con la presente lettera.
Come pegno di favori divini e testimonianza della nostra benevolenza, a voi, al clero e al popolo affidato alle vostre cure, impartiamo di cuore, nel Signore, l’apostolica benedizione.
Roma, presso San Pietro, il 25 maggio 1899, anno XXII del nostro pontificato
Formula di consacrazione da recitarsi al sacratissimo Cuore di Gesù
O Gesù dolcissimo, o redentore del genere umano, riguardate a noi umilmente prostesi dinanzi al vostro altare.
Noi siamo vostri, e vostri vogliamo essere; e per poter vivere a voi più strettamente congiunti, ecco che ognuno di noi oggi si consacra al vostro sacratissimo Cuore.
Molti purtroppo non vi conobbero mai; molti, disprezzando i vostri comandamenti, vi ripudiarono.
O benignissimo Gesù, abbiate misericordia e degli uni e degli altri; e tutti quanti attirate al vostro Cuore santissimo.
O Signore, siate il re non solo dei fedeli che non si allontanarono mai da voi, ma anche di quei figli prodighi che vi abbandonarono; fate che questi quanto prima ritornino alla casa paterna, per non morire di miseria e di fame.
Siate il re di coloro che vivono nell’inganno dell’errore o per discordia da voi separati: richiamateli al porto della verità e all’unità della fede, affinchè in breve si faccia un solo ovile sotto un solo pastore.
Siate il re finalmente di tutti quelli che sono avvolti nelle superstizioni del gentilesimo, e non ricusate di trarli dalle tenebre al lume e al regno di Dio.
Largite, o Signore, incolumità e libertà sicura alla vostra chiesa, largite a tutti i popoli la tranquillità dell’ordine: fate che da un capo all’altro della terra risuoni quest’unica voce: sia lode a quel Cuore divino da cui venne la nostra salute; a lui si canti gloria e onore nei secoli.
Così sia.

Encyclique Annum Sacrum du 25 mai 1899 - Léon XIII Sur la consécration du genre humain au Sacré-Cœur de Jésus : Jésus-Christ déclare qu'il a reçu de Dieu la puissance, soit sur toute l'Eglise qui est figurée par la montagne de Sion, soit sur le reste du monde jusqu'à ses bornes les plus lointaines. Sur quelle base s'appuie ce souverain pouvoir, c'est ce que nous apprennent clairement ces paroles : "Tu es mon fils". Par cela même, en effet, que Jésus-Christ est le fils du Roi du monde, il hérite de toute sa puissance ; de là ces paroles : "Je te donnerai les nations pour ton héritage". A ces paroles sont semblables celles de l'apôtre saint Paul : "Son fils qu'il a établi héritier en toutes choses"

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Donné à Rome, près Saint-Pierre, le 25 mai de l'année 1899,
de notre pontificat la vingt-deuxième.
A nos vénérables frères les archevêques, les évêques et les autres ordinaires de la confédération canadienne en paix et en communion avec le siège apostolique.
LÉON XIII, PAPE
Vénérables Frères,Salut et bénédiction apostolique.

Nous avons naguère, comme vous le savez, ordonné par lettres apostoliques qu'un jubilé serait célébré prochainement dans cette ville sainte, suivant la coutume et la règle établies par les anciens. Aujourd hui, dans l'espoir et dans l'intention d'accroître la piété dont sera empreinte cette solennité religieuse, Nous avons projeté et nous conseillons une manifestation éclatante. Pourvu que tous les fidèles Nous obéissent de cœur et avec une bonne volonté unanime et généreuse, Nous attendons de cet acte, et non sans raison, des résultats précieux et durables, d'abord pour la religion chrétienne et ensuite pour le genre humain tout entier.
Maintes fois, Nous Nous sommes efforcé d'entretenir et de mettre de plus en plus en lumière cette forme excellente de piété, qui consiste à honorer le Très Sacré Cœur de Jésus. Nous suivions en cela l'exemple de nos prédécesseurs Innocent XII, Benoît XIII, Clément XIII, Pie VI, Pie VII et Pie IX. Tel était notamment le but de notre décret publié le 28 juin de l'année 1889, et par lequel Nous avons élevé au rite de première classe la fête du Sacré Cœur.
Mais maintenant Nous songeons à une forme de vénération plus imposante encore, qui puisse être en quelque sorte la plénitude et la perfection de tous les hommages que l'on a coutume de rendre au Cœur très sacré. Nous avons confiance que cette manifestation de piété sera très agréable à Jésus-Christ, rédempteur.
D'ailleurs, ce n'est pas pour la première fois que le projet dont nous parlons est mis en question. En effet, il y a environ vingt-cinq ans, à l'approche des solennités du deuxième centenaire du jour où la bienheureuse Marguerite-Marie Alacoque avait reçu de Dieu l'ordre de propager le culte du divin Cœur, des lettres pressantes émanant non seulement de particuliers, mais encore d'évêques, furent envoyées en grand nombre et de tous côtés à Pie IX. Elles tendaient à obtenir que le Souverain Pontife voulût bien consacrer au très saint Cœur de Jésus l'ensemble du genre humain. On jugea bon de différer, afin que la décision fût mûrie davantage. En attendant, les villes reçurent l'autorisation de se consacrer séparément si cela leur agréait, et une formule de consécration fut prescrite. Maintenant, de nouveaux motifs étant survenus, Nous pensons que l'heure est arrivée de mener à bien ce projet.
Ce témoignage général et solennel de respect et de piété est bien dû à Jésus-Christ, car Il est le Prince et le Maître suprême. En effet son empire ne s'étend pas seulement aux nations qui professent la foi catholique, ou aux hommes qui ayant reçu régulièrement le saint baptême se rattachent en droit à l'Eglise, quoiqu'ils en soient séparés par des opinions erronées ou par un dissentiment qui les arrache à sa tendresse.
Le règne du Christ embrasse aussi tous les hommes privés de la foi chrétienne de sorte que l'universalité du genre humain est réellement soumise au pouvoir de Jésus. Celui qui est le Fils unique de Dieu le Père, qui a la même substance que Lui et qui "est la splendeur de sa gloire et l'empreinte de sa substance" (Heb., I, 3). celui-là nécessairement possède tout en commun avec le Père ; il a donc aussi le souverain pouvoir sur toutes choses. C'est pourquoi le Fils de Dieu dit de lui-même par la bouche du prophète : "Pour moi, j'ai été établi roi sur Sion, sa sainte montagne ; le Seigneur m'a dit : "Tu es mon Fils, je t'ai engendré aujourd'hui. Demande-moi, je te donnerai les nations pour ton héritage et les limites de la terre pour ton patrimoine" (Ps. II, 6 8).
Par ces paroles, Jésus-Christ déclare qu'il a reçu de Dieu la puissance, soit sur toute l'Eglise qui est figurée par la montagne de Sion, soit sur le reste du monde jusqu'à ses bornes les plus lointaines. Sur quelle base s'appuie ce souverain pouvoir, c'est ce que nous apprennent clairement ces paroles : "Tu es mon fils". Par cela même, en effet, que Jésus-Christ est le fils du Roi du monde, il hérite de toute sa puissance ; de là ces paroles : "Je te donnerai les nations pour ton héritage". A ces paroles sont semblables celles de l'apôtre saint Paul : "Son fils qu'il a établi héritier en toutes choses" (Heb. 1, 2).
Mais il faut surtout considérer ce que Jésus-Christ a affirmé concernant son empire, non plus par les Apôtres ou par les prophètes, mais de sa propre bouche. Au gouverneur romain qui lui demandait "Tu es donc roi" ? il répondit sans aucune hésitation : ''Tu le dis, je suis roi" (Joan, XVIII, 37). La grandeur de ce pouvoir et l'immensité infinie de ce royaume sont confirmées clairement par les paroles de Notre-Seigneur aux apôtres : "Toute puissance m'a été donnée dans le ciel et sur la terre" (Matth., XVIII, 18). Si toute puissance a été donnée au Christ, il s'ensuit nécessairement que son empire doit être souverain, absolu, indépendant de la volonté de tout être, de sorte qu'aucun pouvoir ne soit égal ni semblable au sien. Et puisque cet empire lui a été donné dans le ciel et sur la terre, il faut qu'il voie le ciel et la terre lui obéir.
Effectivement, il a exercé ce droit extraordinaire et qui lui est propre, lorsqu'il a ordonné aux apôtres de répandre sa doctrine, de réunir les hommes en une seule Eglise par le Baptême du salut, enfin de leur imposer des lois que personne ne pût méconnaître, sans mettre en péril son salut éternel.
Mais ce n'est pas tout. Jésus-Christ commande non seulement en vertu d'un droit naturel et comme Fils de Dieu, mais encore en vertu d'un droit acquis. Car "il nous a arrachés de la puissance des ténèbres" (Coloss., I, 13) ; et en outre il "s'est livré lui-même pour la rédemption de tous" (I Tim., II, 6). Non seulement les catholiques et ceux qui ont reçu régulièrement le baptême chrétien, mais tous les hommes et chacun d'eux sont devenus pour Lui "un peuple conquis" (I Pet., II, 9). Aussi, saint Augustin a-t-il eu raison de dire à ce sujet : "Vous cherchez ce que Jésus-Christ a acheté ? voyez ce qu'Il a donné et vous saurez ce qu'Il a acheté. Le sang du Christ est le prix de l'achat. Quel objet peut avoir une telle valeur ? Lequel, si ce n'est le monde entier ? Lequel si ce n'est toutes les nations ? C'est pour l'univ ers entier que le Christ a payé un tel prix" (Tract. 20 in Joan.).
Pourquoi les infidèles eux-mêmes sont-ils soumis au pouvoir de Jésus-Christ ? Saint Thomas nous en expose longuement la raison. En effet, après avoir demandé si le pouvoir judiciaire de Jésus-Christ s'étend à tous les hommes, et avoir affirmé que "l'autorité judiciaire découle de l'autorité royale", il conclut nettement : "Tout est soumis au Christ quant à la puissance, quoique tout ne lui soit pas soumis encore quant à l'exercice même de cette puissance" (3a P., Q. 59, art. 4). Ce pouvoir du Christ et cet empire sur les hommes s'exercent par la vérité, par la justice et surtout par la charité.
Mais à cette double base de sa puissance et de sa domination, Jésus-Christ nous permet dans sa bienveillance d'ajouter, si nous y consentons de notre côté, la consécration volontaire. Dieu et rédempteur à la fois, il possède pleinement, et d'une façon parfaite, tout ce qui existe. Nous, au contraire, nous sommes si pauvres et dénués, que nous n'avons rien qui nous appartienne et dont nous puissions lui faire présent. Cependant, dans sa bonté et sa charité souveraine, il ne refuse nullement que nous lui donnions et que nous lui consacrions ce qui lui appartient, comme si nous en étions les possesseurs. Non seulement il ne refuse pas cette offrande, mais il la désire et il la demande : "Mon fils, donne moi ton cœur". Nous pouvons donc lui être pleinement agréables par notre bonne volonté et l'affection de notre âme. En nous consacrant à lui, non seulement nous reconnaissons et nous acceptons son empire ouvertement et avec joie, mais encore nous témoignons réellement que si ce que nous donnons nous appartenait, nous l'offririons de tout notre cœur ; nous demandons ainsi à Dieu de vouloir bien recevoir de nous ces objets mêmes qui lui appartiennent absolument.  Telle est l'efficacité de l'acte dont il s'agit, tel est le sens de nos paroles.
Puisque dans le Sacré Cœur réside le symbole et l'image sensible de la charité infinie de Jésus-Christ, charité qui nous pousse à l'aimer en retour, il est convenable de nous consacrer à son Cœur très auguste. Agir ainsi, c'est se donner et se lier à Jésus Christ ; car les hommages, les marques de soumission et de piété que l'on offre au divin Cœur se rapportent réellement et en propre au Christ lui même.
C'est pourquoi Nous engageons et Nous exhortons à accomplir avec ardeur cet acte de piété, tous les fidèles qui connaissent et aiment le divin Cœur. Nous désirerions vivement qu'ils se livrassent à cette manifestation le même jour, afin que les sentiments et les vœux communs de tant de milliers de fidèles fussent portés en même temps au temple céleste.
Mais oublierons-nous une quantité innombrable d'hommes, pour lesquels n'a pas encore brillé la vérité chrétienne ? Nous tenons la place de Celui qui est venu sauver ce qui était perdu et qui a donné son sang pour le salut du genre humain tout entier. Aussi, nous songeons avec assiduité à ramener vers la véritable vie ceux mêmes qui gisent dans les ténèbres de la mort. Nous avons envoyé de tous côtés pour les instruire des messagers du Christ ; et maintenant, déplorant leur sort, Nous les recommandons de toute notre âme et Nous les consacrons, autant qu'il est en Nous, au Cœur très sacré de Jésus.
De cette manière, l`acte de piété que Nous conseillons à tous sera profitable à tous. Après l'avoir accompli, ceux qui connaissent et aiment Jésus-Christ sentiront croître leur foi et leur amour. Ceux qui, connaissant le Christ, négligent cependant sa loi et ses préceptes, pourront puiser dans son Sacré-Cœur la flamme de la charité. Enfin, nous implorerons tous d'un élan unanime le secours céleste pour les infortunés qui souffrent dans les ténèbres de la superstition. Nous demanderons que Jésus-Christ, auquel ils sont soumis "quant à la puissance" les soumette un jour "quant à l'exercice de cette puissance". Et cela, non seulement "dans un siècle à venir, quand il accomplira sa volonté sur tous les êtres en récompensant les uns et en châtiant les autres" (S. Thomas, loc. cit.), mais encore dès cette vie mortelle, en leur donnant la foi et la sainteté. Puissent-ils honorer Dieu par la pratique de la vertu, comme il convient, et chercher à obtenir la félicité céleste et éternelle.
Une telle consécration apporte aussi aux Etats l'espoir d'une situation meilleure, car cet acte de piété peut établir ou raffermir les liens qui unissent naturellement les affaires publiques à Dieu. Dans ces derniers temps surtout, on a fait en sorte qu'un mur s'élevât, pour ainsi dire, entre l'Eglise et la société civile. Dans la constitution et l'administration des Etats, on compte pour rien l'autorité de la juridiction sacrée et divine, et l'on cherche à obtenir que la religion n'ait aucun rôle dans la vie publique. Cette attitude aboutit presque à enlever au peuple la foi chrétienne ; si c'était possible, on chasserait de la terre Dieu lui même. Les esprits étant en proie à un si insolent orgueil, est-il étonnant que la plus grande partie du genre humain soit livrée à des troubles profonds, et battue par des flots qui ne laissent personne à l'abri de la crainte et du péril ? Il arrive fatalement, que les fondements les plus solides du salut public s'écroulent lorsqu'on laisse de côté la religion. Dieu, pour faire subir à ses ennemis le châtiment qu'ils avaient mérité, les a livrés à leurs penchants, de sorte qu'ils s'abandonnent à leurs passions et s'épuisent dans une licence excessive.
De là, cette abondance de maux qui depuis longtemps sévissent sur le monde, et qui Nous obligent à demander le secours de Celui qui seul peut les écarter. Or, qui est celui-là, sinon Jésus-Christ, fils unique de Dieu ? "car nul autre nom n'a été donné sous le ciel aux hommes, par lequel nous devions être sauvés" (Act. IV, 12). Il faut donc recourir à Celui qui est "la voie, la vérité et la vie." L'homme a erré, qu'il revienne dans la route droite ; les ténèbres ont envahi les âmes, que cette obscurité soit dissipée par la lumière de la vérité ; la mort s'est emparée de nous, conquérons la vie. Il nous sera enfin permis de guérir tant de blessures, on verra renaître avec toute justice l'espoir en l'antique autorité, les splendeurs de la foi reparaîtront, les glaives tomberont et les armes s'échapperont des mains lorsque tous les hommes accepteront l'empire du Christ et s'y soumettront avec joie, et quand "toute langue confessera que le Seigneur Jésus-Christ est dans la gloire de Dieu le Père" (Phil. II, 2).
A l'époque où l'Eglise, toute proche encore de ses origines, était accablée sous le joug des Césars, un jeune empereur aperçut dans le ciel une croix qui annonçait et qui préparait une magnifique et prochaine victoire. Aujourd'hui, voici qu'un autre emblème béni et divin s'offre à nos yeux. C'est le cœur très sacré de Jésus, sur lequel se dresse la Croix et qui brille d'un magnifique éclat au milieu des flammes. En lui nous devons placer toutes nos espérances ; nous devons lui demander et attendre de lui le salut des hommes.
Enfin, Nous ne voulons point passer sous silence un motif particulier, il est vrai, mais légitime et sérieux, qui Nous pousse à entreprendre cette manifestation. C'est que Dieu, auteur de tous les biens, Nous a naguère sauvé d'une maladie dangereuse. Nous voulons évoquer le  souvenir d'un tel bienfait et en témoigner publiquement Notre reconnaissance par l'accroissement des hommages rendus au très saint Cœur.
Nous décidons en conséquence que, le 9, le 10 et le 11 du mois de juin prochain, dans l'église de chaque localité et dans l'église principale de chaque ville, des prières déterminées seront dites. Chacun de ces jours-là, les litanies du Sacré-Cœur, approuvées par Notre autorité, seront jointes aux autres invocations. Le dernier jour, on récitera la formule de consécration que Nous vous envoyons, Vénérables Frères, en même temps que ces lettres.
Comme gage des faveurs divines et en témoignage de Notre bienveillance, Nous accordons très affectueusement dans le Seigneur la bénédiction apostolique à vous, à votre clergé et au peuple que vous dirigez.
Donné à Rome, près Saint-Pierre, le 25 mai de l'année 1899, de notre pontificat la vingt-deuxième.
Léon XIII,Pape


"ANNUM SACRUM" Encíclica del Papa LEÓN XIII : De la Consagración del Género Humano al Sagrado Corazón de Jesús. Este testimonio general y solemne de respeto y de piedad, se le debe a Jesucristo, ya que es el Príncipe y el Maestro supremo. De verdad, su imperio se extiende no solamente a las naciones que profesan la fe católica o a los hombres que, por haber recibido en su día el bautismo, están unidos de derecho a la Iglesia, aunque se mantengan alejados por sus opiniones erróneas o por un disentimiento que les aparte de su ternura. El reino de Cristo también abraza a todos los hombres privados de la fe cristiana, de suerte que la universalidad del género humano está realmente sumisa al poder de Jesús.

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            Encíclicas sobre el Sagrado Corazón

            "ANNUM SACRUM"
            Encíclica del Papa LEÓN XIII
            A LOS PATRIARCAS, PRIMADOS, ARZOBISPOS, OBISPOS Y OTROS ORDINARIOS, EN PAZ Y COMUNIÓN CON LA SEDE APOSTÓLICA

            De la Consagración del Género Humano al Sagrado Corazón de Jesús

            Hace poco, como sabéis, ordenamos por cartas apostólicas que próximamente celebraríamos un jubileo (annum sacrum), siguiendo la costumbre establecida por los antiguos, en esta ciudad santa. Hoy, en la espera, y con la intención de aumentar la piedad en que estará envuelta esta celebración religiosa, nos hemos proyectado y aconsejamos una manifestación fastuosa. Con la condición que todos los fieles Nos obedezcan de corazón y con una buena voluntad unánime y generosa, esperamos que este acto, y no sin razón, produzca resultados preciosos y durables, primero para la religión cristiana y también para el género humano todo entero.

            Muchas veces nos hemos esforzado en mantener y poner más a la luz del día esta forma excelente de piedad que consiste en honrar al Sacratísimo Corazón de Jesús. Seguimos en esto el ejemplo de Nuestros predecesores Inocencio XII, Benedicto XIV, Clemente XIII, Pío VI, Pío VII y Pío IX. Esta era la finalidad especial de Nuestro decreto publicado el 28 de junio del año 1889 y por el que elevamos a rito de primera clase la fiesta del Sagrado Corazón.

            Pero ahora soñamos en una forma de veneración más imponente aún, que pueda ser en cierta manera la plenitud y la perfección de todos los homenajes que se acostumbran a rendir al Corazón Sacratísimo. Confiamos que esta manifestación de piedad sea muy agradable a Jesucristo Redentor.

            Además, no es la primera vez que el proyecto que anunciamos, sea puesto sobre el tapete. En efecto, hace alrededor de 25 años, al acercarse la solemnidad del segundo Centenario del día en que la bienaventurada Margarita María de Alacoque había recibido de Dios la orden de propagar el culto al divino Corazón, hubo muchas cartas apremiantes, que procedían no solamente de particulares, sino también de obispos, que fueron enviadas en gran número, de todas partes y dirigidas a Pío IX. Ellas pretendían obtener que el soberano Pontífice quisiera consagrar al Sagrado Corazón de Jesús, todo el género humano. Se prefirió entonces diferirlo, a fin de ir madurando más seriamente la decisión. A la espera, ciertas ciudades recibieron la autorización de consagrarse por su cuenta, si así lo deseaban y se prescribió una fórmula de consagración. Habiendo sobrevenido ahora otros motivos, pensamos que ha llegado la hora de culminar este proyecto.

            Este testimonio general y solemne de respeto y de piedad, se le debe a Jesucristo, ya que es el Príncipe y el Maestro supremo. De verdad, su imperio se extiende no solamente a las naciones que profesan la fe católica o a los hombres que, por haber recibido en su día el bautismo, están unidos de derecho a la Iglesia, aunque se mantengan alejados por sus opiniones erróneas o por un disentimiento que les aparte de su ternura.

            El reino de Cristo también abraza a todos los hombres privados de la fe cristiana, de suerte que la universalidad del género humano está realmente sumisa al poder de Jesús. Quien es el Hijo Único de Dios Padre, que tiene la misma substancia que El y que es "el esplendor de su gloria y figura de su substancia" (Hebreos 1:3), necesariamente lo posee todo en común con el Padre; tiene pues poder soberano sobre todas las cosas. Por eso el Hijo de Dios dice de sí mismo por la boca del profeta: "Ya tengo yo consagrado a mi rey en Sión mi monte santo... El me ha dicho: Tu eres mi Hijo, yo te he engendrado hoy. Pídeme y te daré en herencia las naciones, en propiedad los confines de la tierra" (Salmo 2: 6-8).

            Por estas palabras, Jesucristo declara que ha recibido de Dios el poder, ya sobre la Iglesia, que viene figurada por la montaña de Sión, ya sobre el resto del mundo hasta los límites más alejados. ¿Sobre qué base se apoya este soberano poder? Se desprende claramente de estas palabras: "Tu eres mi Hijo." Por esta razón Jesucristo es el hijo del Rey del mundo que hereda todo poder; de ahí estas palabras: "Yo te daré las naciones por herencia". A estas palabras cabe añadir aquellas otras análogas de san Pablo: "A quien constituyó heredero universal."

            Pero hay que recordar sobre todo que Jesucristo confirmó lo relativo a su imperio, no sólo por los apóstoles o los profetas, sino por su propia boca. Al gobernador romano que le preguntaba:"¿Eres Rey tú?", el contestó sin vacilar: "Tú lo has dicho: Yo soy rey!" (Juan 18:37)La grandeza de este poder y la inmensidad infinita de este reino, están confirmados plenamente por las palabras de Jesucristo a los Apóstoles: "Se me ha dado todo poder en el Cielo y en la tierra." (Mt 28:18). Si todo poder ha sido dado a Cristo, se deduce necesariamente que su imperio debe ser soberano, absoluto, independiente de la voluntad de cualquier otro ser, de suerte que ningún poder no pueda equipararse al suyo. Y puesto que este imperio le ha sido dado en el cielo y sobre la tierra, se requiere que ambos le estén sometidos.

            Efectivamente, El ejerció este derecho extraordinario, que le pertenecía, cuando envió a sus apóstoles a propagar su doctrina, a reunir a todos los hombres en una sola Iglesia por el bautismo de salvación, a fin de imponer leyes que nadie pudiera desconocer sin poner en peligro su eterna salvación. Pero esto no es todo. Jesucristo ordena no sólo en virtud de un derecho natural y como Hijo de Dios sino también en virtud de un derecho adquirido. Pues "nos arrancó del poder de las tinieblas" (Colos. 1:13) y también "se entregó a si mismo para la Redención de todos" (1 Tim 2:6).

            No solamente los católicos y aquellos que han recibido regularmente el bautismo cristiano, sino todos los hombres y cada uno de ellos, se han convertido para El "en pueblo adquirido." (1 P 2:9). También san Agustín tiene razón al decir sobre este punto: "¿Buscáis lo que Jesucristo ha comprado? Ved lo que El dio y sabréis lo que compró: La sangre de Cristo es el precio de la compra. ¿Qué otro objeto podría tener tal valor? ¿Cuál si no es el mundo entero? ¿Cuál sino todas las naciones? ¡Por el universo entero Cristo pagó un precio semejante!" (Tract., XX in Joan.).

            Santo Tomás nos expone largamente porque los mismos infieles están sometidos al poder de Jesucristo. Después de haberse preguntado si el poder judiciario de Jesucristo se extendía a todos los hombres y de haber afirmado que la autoridad judiciaria emana de la autoridad real, concluye netamente: "Todo está sumido a Cristo en cuanto a la potencia, aunque no lo está todavía sometido en cuanto al ejercicio mismo de esta potencia" (Santo Tomás, III Pars. q. 30, a.4.). Este poder de Cristo y este imperio sobre los hombres, se ejercen por la verdad, la justicia y sobre todo por la caridad.

            Pero en esta doble base de su poder y de su dominación, Jesucristo nos permite, en su benevolencia, añadir, si de nuestra parte estamos conformes, la consagración voluntaria. Dios y Redentor a la vez, posee plenamente y de un modo perfecto, todo lo que existe. Nosotros, por el contrario, somos tan pobres y tan desprovistos de todo, que no tenemos nada que nos pertenezca y que podamos ofrecerle en obsequio. No obstante, por su bondad y caridad soberanas, no rehusa nada que le ofrezcamos y que le consagremos lo que ya le pertenece, como si fuera posesión nuestra. No sólo no rehusa esta ofrenda, sino que la desea y la pide: "Hijo mío, dame tu corazón!" Podemos pues serle enteramente agradables con nuestra buena voluntad y el afecto de nuestras almas. Consagrándonos a El, no solamente reconocemos y aceptamos abiertamente su imperio con alegría, sino que testimoniamos realmente que si lo que le ofrecemos nos perteneciera, se lo ofreceríamos de todo corazón; así pedimos a Dios quiera recibir de nosotros estos mismos objetos que ya le pertenecen de un modo absoluto. Esta es la eficacia del acto del que estamos hablando, y este es el sentido de sus palabras.

            Puesto que el Sagrado Corazón es el símbolo y la imagen sensible de la caridad infinita de Jesucristo, caridad que nos impulsa a amarnos los unos a los otros, es natural que nos consagremos a este corazón tan santo. Obrar así, es darse y unirse a Jesucristo, pues los homenajes, señales de sumisión y de piedad que uno ofrece al divino Corazón, son referidos realmente y en propiedad a Cristo en persona.

            Nos exhortamos y animamos a todos los fieles a que realicen con fervor este acto de piedad hacia el divino Corazón, al que ya conocen y aman de verdad. Deseamos vivamente que se entreguen a esta manifestación, el mismo día, a fin de que los sentimientos y los votos comunes de tantos millones de fieles sean presentados al mismo tiempo en el templo celestial.

            Pero, ¿podemos olvidar esa innumerable cantidad de hombres, sobre los que aún no ha aparecido la luz de la verdad cristiana? Nos representamos y ocupamos el lugar de Aquel que vino a salvar lo que estaba perdido y que vertió su sangre para la salvación del género humano todo entero. Nos soñamos con asiduidad traer a la vida verdadera a todos esos que yacen en las sombras de la muerte; para eso Nos hemos enviado por todas partes a los mensajeros de Cristo, para instruirles. Y ahora, deplorando su triste suerte, Nos los recomendamos con toda nuestra alma y los consagramos, en cuanto depende de Nos, al Corazón Sacratísimo de Jesús.

            De esta manera, el acto de piedad que aconsejamos a todos, será útil a todos. Después de haberlo realizado, los que conocen y aman a Cristo Jesús, sentirán crecer su fe y su amor hacia El. Los que conociéndole, son remisos a seguir su ley y sus preceptos, podrán obtener y avivar en su Sagrado Corazón la llama de la caridad. Finalmente, imploramos a todos, con un esfuerzo unánime, la ayuda celestial hacia los infortunados que están sumergidos en las tinieblas de la superstición. Pediremos que Jesucristo, a Quien están sometidos "en cuanto a la potencia", les someta un día "en cuanto al ejercicio de esta potencia". Y esto, no solamente "en el siglo futuro, cuando impondrá su voluntad sobre todos los seres recompensando a los unos y castigando a los otros" (Santo Tomás, id, ibidem.), sino aún en esta vida mortal, dándoles la fe y la santidad. Que puedan honrar a Dios en la práctica de la virtud, tal como conviene, y buscar y obtener la felicidad celeste y eterna.

            Una consagración así, aporta también a los Estados la esperanza de una situación mejor, pues este acto de piedad puede establecer y fortalecer los lazos que unen naturalmente los asuntos públicos con Dios. En estos últimos tiempos, sobre todo, se ha erigido una especie de muro entre la Iglesia y la sociedad civil. En la constitución y administración de los Estados no se tiene en cuenta para nada la jurisdicción sagrada y divina, y se pretende obtener que la religión no tenga ningún papel en la vida pública. Esta actitud desemboca en la pretensión de suprimir en el pueblo la ley cristiana; si les fuera posible hasta expulsarían a Dios de la misma tierra.

            Siendo los espíritus la presa de un orgullo tan insolente, ¿es que puede sorprender que la mayor parte del género humano se debata en problemas tan profundos y esté atacada por una resaca que no deja a nadie al abrigo del miedo y el peligro? Fatalmente acontece que los fundamentos más sólidos del bien público, se desmoronan cuando se ha dejado de lado, a la religión. Dios, para que sus enemigos experimenten el castigo que habían provocado, les ha dejado a merced de sus malas inclinaciones, de suerte que abandonándose a sus pasiones se entreguen a una licencia excesiva.

            De ahí esa abundancia de males que desde hace tiempo se ciernen sobre el mundo y que Nos obligan a pedir el socorro de Aquel que puede evitarlos. ¿Y quién es éste sino Jesucristo, Hijo Único de Dios, "pues ningún otro nombre le ha sido dado a los hombres, bajo el Cielo, por el que seamos salvados" (Act 4:12). Hay que recurrir, pues, al que es "el Camino, la Verdad y la Vida".

            El hombre ha errado: que vuelva a la senda recta de la verdad; las tinieblas han invadido las almas, que esta oscuridad sea disipada por la luz de la verdad; la muerte se ha enseñoreado de nosotros, conquistemos la vida. Entonces nos será permitido sanar tantas heridas, veremos renacer con toda justicia la esperanza en la antigua autoridad, los esplendores de la fe reaparecerán; las espadas caerán, las armas se escaparán de nuestras manos cuando todos los hombres acepten el imperio de Cristo y sometan con alegría, y cuando "toda lengua profese que el Señor Jesucristo está en la gloria de Dios Padre" (Fil. 2:11).

            En la época en que la Iglesia, aún próxima a sus orígenes, estaba oprimida bajo el yugo de los Césares, un joven emperador percibió en el Cielo una cruz que anunciaba y que preparaba una magnífica y próxima victoria. Hoy, tenemos aquí otro emblema bendito y divino que se ofrece a nuestros ojos: Es el Corazón Sacratísimo de Jesús, sobre él que se levanta la cruz, y que brilla con un magnífico resplandor rodeado de llamas. En él debemos poner todas nuestras esperanzas; tenemos que pedirle y esperar de él la salvación de los hombres.

            Finalmente, no queremos pasar en silencio un motivo particular, es verdad, pero legítimo y serio, que nos presiona a llevar a cabo esta manifestación. Y es que Dios, autor de todos los bienes, Nos ha liberado de una enfermedad peligrosa. Nos queremos recordar este beneficio y testimoniar públicamente Nuestra gratitud para aumentar los homenajes rendidos al Sagrado Corazón.

            Nos decidimos en consecuencia, que el 9, el 10 y el 11 del mes de junio próximo, en la iglesia de cada localidad y en la iglesia principal de cada ciudad, sean recitadas unas oraciones determinadas. Cada uno de esos días, las Letanías del Sagrado Corazón, aprobadas por nuestra autoridad, serán añadidas a las otras invocaciones. El último día se recitará la fórmula de consagración que Nos os hemos enviado, Venerables Hermanos, al mismo tiempo que estas cartas.

            Como prenda de los favores divinos y en testimonio de Nuestra Benevolencia, Nos concedemos muy afectuosamente en el Señor la bendición Apostólica, a vosotros, a vuestro clero y al pueblo que os está confiado.

            Dado en Roma, el 25 de mayo de 1899, el 22 de Nuestro Pontificado. León XIII, papa

            

            



         

ANNUM SACRUM ENCYCLICAL OF POPE LEO XIII ON CONSECRATION TO THE SACRED HEART

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To the Patriarchs, Primates, Archbishops, and Bishops of the
Catholic World in Grace and Communion with the Apostolic See.
Venerable Brethren, Health and Apostolic Benediction.
But a short time ago, as you well know, We, by letters apostolic, and following the custom and ordinances of Our predecessors, commanded the celebration in this city, at no distant date, of a Holy Year. And now to-day, in the hope and with the object that this religious celebration shall be more devoutly performed, We have traced and recommended a striking design from which, if all shall follow it out with hearty good will, We not unreasonably expect extraordinary and lasting benefits for Christendom in the first place and also for the whole human race.
2. Already more than once We have endeavored, after the example of Our predecessors Innocent XII, Benedict XIII, Clement XIII, Pius VI, and Pius IX., devoutly to foster and bring out into fuller light that most excellent form of devotion which has for its object the veneration of the Sacred Heart of Jesus; this We did especially by the Decree given on June 28, 1889, by which We raised the Feast under that name to the dignity of the first class. But now We have in mind a more signal form of devotion which shall be in a manner the crowning perfection of all the honors that people have been accustomed to pay to the Sacred Heart, and which We confidently trust will be most pleasing to Jesus Christ, our Redeemer. This is not the first time, however, that the design of which We speak has been mooted. Twenty-five years ago, on the approach of the solemnities of the second centenary of the Blessed Margaret Mary Alacoque's reception of the Divine command to propagate the worship of the Sacred Heart, many letters from all parts, not merely from private persons but from Bishops also were sent to Pius IX. begging that he would consent to consecrate the whole human race to the Most Sacred Heart of Jesus. It was thought best at the time to postpone the matter in order that a well-considered decision might be arrived at. Meanwhile permission was granted to individual cities which desired it thus to consecrate themselves, and a form of consecration was drawn up. Now, for certain new and additional reasons, We consider that the plan is ripe for fulfilment.
3. This world-wide and solemn testimony of allegiance and piety is especially appropriate to Jesus Christ, who is the Head and Supreme Lord of the race. His empire extends not only over Catholic nations and those who, having been duly washed in the waters of holy baptism, belong of right to the Church, although erroneous opinions keep them astray, or dissent from her teaching cuts them off from her care; it comprises also all those who are deprived of the Christian faith, so that the whole human race is most truly under the power of Jesus Christ. For He who is the Only-begotten Son of God the Father, having the same substance with Him and being the brightness of His glory and the figure of His substance (Hebrews i., 3) necessarily has everything in common with the Father, and therefore sovereign power over all things. This is why the Son of God thus speaks of Himself through the Prophet: "But I am appointed king by him over Sion, his holy mountain. . . The Lord said to me, Thou art my son, this day have I begotten thee. Ask of me and I will give thee the Gentiles for thy inheritance and the utmost parts of the earth for thy possession" (Psalm, ii.). By these words He declares that He has power from God over the whole Church, which is signified by Mount Sion, and also over the rest of the world to its uttermost ends. On what foundation this sovereign power rests is made sufficiently plain by the words, "Thou art My Son." For by the very fact that He is the Son of the King of all, He is also the heir of all His Father's power: hence the words-"I will give thee the Gentiles for thy inheritance," which are similar to those used by Paul the Apostle, "whom he bath appointed heir of all things" (Hebrews i., 2).
4. But we should now give most special consideration to the declarations made by Jesus Christ, not through the Apostles or the Prophets but by His own words. To the Roman Governor who asked Him, "Art thou a king then?" He answered unhesitatingly, "Thou sayest that I am a king" (John xviii. 37). And the greatness of this power and the boundlessness of His kingdom is still more clearly declared in these words to the Apostles: "All power is given to me in heaven and on earth" (Matthew xxviii., 18). If then all power has been given to Christ it follows of necessity that His empire must be supreme, absolute and independent of the will of any other, so that none is either equal or like unto it: and since it has been given in heaven and on earth it ought to have heaven and earth obedient to it. And verily he has acted on this extraordinary and peculiar right when He commanded His Apostles to preach His doctrine over the earth, to gather all men together into the one body of the Church by the baptism of salvation, and to bind them by laws, which no one could reject without risking his eternal salvation.
5. But this is not all. Christ reigns nor only by natural right as the Son of God, but also by a right that He has acquired. For He it was who snatched us "from the power of darkness" (Colossians i., 13), and "gave Himself for the redemption of all" (I Timothy ii., 6). Therefore not only Catholics, and those who have duly received Christian baptism, but also all men, individually and collectively, have become to Him "a purchased people" (I Peter ii., 9). St. Augustine's words are therefore to the point when he says: "You ask what price He paid? See what He gave and you will understand how much He paid. The price was the blood of Christ. What could cost so much but the whole world, and all its people? The great price He paid was paid for all" (T. 120 on St. John).
6. How it comes about that infidels themselves are subject to the power and dominion of Jesus Christ is clearly shown by St. Thomas, who gives us the reason and its explanation. For having put the question whether His judicial power extends to all men, and having stated that judicial authority flows naturally from royal authority, he concludes decisively as follows: "All things are subject to Christ as far as His power is concerned, although they are not all subject to Him in the exercise of that power" (3a., p., q. 59, a. 4). This sovereign power of Christ over men is exercised by truth, justice, and above all, by charity.
7. To this twofold ground of His power and domination He graciously allows us, if we think fit, to add voluntary consecration. Jesus Christ, our God and our Redeemer, is rich in the fullest and perfect possession of all things: we, on the other hand, are so poor and needy that we have nothing of our own to offer Him as a gift. But yet, in His infinite goodness and love, He in no way objects to our giving and consecrating to Him what is already His, as if it were really our own; nay, far from refusing such an offering, He positively desires it and asks for it: "My son, give me thy heart." We are, therefore, able to be pleasing to Him by the good will and the affection of our soul. For by consecrating ourselves to Him we not only declare our open and free acknowledgment and acceptance of His authority over us, but we also testify that if what we offer as a gift were really our own, we would still offer it with our whole heart. We also beg of Him that He would vouchsafe to receive it from us, though clearly His own. Such is the efficacy of the act of which We speak, such is the meaning underlying Our words.
8. And since there is in the Sacred Heart a symbol and a sensible image of the infinite love of Jesus Christ which moves us to love one another, therefore is it fit and proper that we should consecrate ourselves to His most Sacred Heart-an act which is nothing else than an offering and a binding of oneself to Jesus Christ, seeing that whatever honor, veneration and love is given to this divine Heart is really and truly given to Christ Himself.
9. For these reasons We urge and exhort all who know and love this divine Heart willingly to undertake this act of piety; and it is Our earnest desire that all should make it on the same day, that so the aspirations of so many thousands who are performing this act of consecration may be borne to the temple of heaven on the same day. But shall We allow to slip from Our remembrance those innumerable others upon whom the light of Christian truth has not yet shined? We hold the place of Him who came to save that which was lost, and who shed His blood for the salvation of the whole human race. And so We greatly desire to bring to the true life those who sit in the shadow of death. As we have already sent messengers of Christ over the earth to instruct them, so now, in pity for their lot with all Our soul we commend them, and as far as in us lies We consecrate them to the Sacred Heart of Jesus. In this way this act of devotion, which We recommend, will be a blessing to all. For having performed it, those in whose hearts are the knowledge and love of Jesus Christ will feel that faith and love increased. Those who knowing Christ, yet neglect His law and its precepts, may still gain from His Sacred Heart the flame of charity. And lastly, for those still more unfortunate, who are struggling in the darkness of superstition, we shall all with one mind implore the assistance of heaven that Jesus Christ, to whose power they are subject, may also one day render them submissive to its exercise; and that not only in the life to come when He will fulfil His will upon all men, by saving some and punishing others, (St. Thomas, ibid), but also in this mortal life by giving them faith and holiness. May they by these virtues strive to honor God as they ought, and to win everlasting happiness in heaven.
10. Such an act of consecration, since it can establish or draw tighter the bonds which naturally connect public affairs with God, gives to States a hope of better things. In these latter times especially, a policy has been followed which has resulted in a sort of wall being raised between the Church and civil society. In the constitution and administration of States the authority of sacred and divine law is utterly disregarded, with a view to the exclusion of religion from having any constant part in public life. This policy almost tends to the removal of the Christian faith from our midst, and, if that were possible, of the banishment of God Himself from the earth. When men's minds are raised to such a height of insolent pride, what wonder is it that the greater part of the human race should have fallen into such disquiet of mind and be buffeted by waves so rough that no one is suffered to be free from anxiety and peril? When religion is once discarded it follows of necessity that the surest foundations of the public welfare must give way, whilst God, to inflict on His enemies the punishment they so richly deserve, has left them the prey of their own evil desires, so that they give themselves up to their passions and finally wear themselves out by excess of liberty.
11. Hence that abundance of evils which have now for a long time settled upon the world, and which pressingly call upon us to seek for help from Him by whose strength alone they can be driven away. Who can He be but Jesus Christ the Only-begotten Son of God? "For there is no other name under heaven given to men whereby we must be saved" (Acts iv., 12). We must have recourse to Him who is the Way, the Truth and the Life. We have gone astray and we must return to the right path: darkness has overshadowed our minds, and the gloom must be dispelled by the light of truth: death has seized upon us, and we must lay hold of life. It will at length be possible that our many wounds be healed and all justice spring forth again with the hope of restored authority; that the splendors of peace be renewed, and swords and arms drop from the hand when all men shall acknowledge the empire of Christ and willingly obey His word, and "Every tongue shall confess that our Lord Jesus Christ is in the glory of God the Father" (Philippians ii, II).
12. When the Church, in the days immediately succeeding her institution, was oppressed beneath the yoke of the Caesars, a young Emperor saw in the heavens a cross, which became at once the happy omen and cause of the glorious victory that soon followed. And now, to-day, behold another blessed and heavenly token is offered to our sight-the most Sacred Heart of Jesus, with a cross rising from it and shining forth with dazzling splendor amidst flames of love. In that Sacred Heart all our hopes should be placed, and from it the salvation of men is to be confidently besought.
13. Finally, there is one motive which We are unwilling to pass over in silence, personal to Ourselves it is true, but still good and weighty, which moves Us to undertake this celebration. God, the author of every good, not long ago preserved Our life by curing Us of a dangerous disease. We now wish, by this increase of the honor paid to the Sacred Heart, that the memory of this great mercy should be brought prominently forward, and Our gratitude be publicly acknowledged.
14. For these reasons, We ordain that on the ninth, tenth and eleventh of the coming month of June, in the principal church of every town and village, certain prayers be said, and on each of these days there be added to the other prayers the Litany of the Sacred Heart approved by Our authority. On the last day the form of consecration shall be recited which, Venerable Brethren, We sent to you with these letters.
15. As a pledge of divine benefits, and in token of Our paternal benevolence, to you, and to the clergy and people committed to your care We lovingly grant in the Lord the Apostolic Benediction.
Given in Rome at St. Peter's on the 25th day of May, 1899, the twenty-second year of Our Pontificate.
LEO XIII

Angelus de Benoît XVI : Dieu n'exclut ni les riches ni les pauvres

 

Le 31 octobre 2010  - (E.S.M.) -  Le pape Benoît XVI souhaite aux baptisés de faire l'expérience de « la joie de la visite du Fils de Dieu, d'être renouvelés par son amour, et de transmettre aux autres sa miséricorde ». Nous publions ci-dessous le texte intégral des paroles qu'il a prononcées avant la prière de l'Angélus, ce dimanche.

Le pape Benoît XVI
Angelus de Benoît XVI : Dieu n'exclut ni les riches ni les pauvres
Le 31 octobre 2010  - Eucharistie Sacrement de la Miséricorde - Le pape Benoît XVI souhaite aux baptisés de faire l'expérience de « la joie de la visite du Fils de Dieu, d'être renouvelés par son amour, et de transmettre aux autres sa miséricorde ». Nous publions ci-dessous le texte intégral des paroles qu'il a prononcées avant la prière de l'Angélus, ce dimanche.

Paroles du Saint-Père avant la prière de l'Angelus

Chers frères et sœurs,

L'Evangéliste saint Luc réserve une attention particulière au thème de la miséricorde de Jésus. Nous trouvons en effet dans son récit certains épisodes qui mettent en relief l'amour miséricordieux de Dieu et du Christ, qui affirme être venu appeler non les justes mais les pécheurs (cf. Lc 5, 32). Parmi les récits typiques de Luc se trouve celui de la conversion de Zachée, qu'on lit lors de la liturgie de ce dimanche. Zachée est un « Publicain », ou plutôt le chef des Publicains de Jéricho, une ville importante près du Jourdain. Les publicains étaient les percepteurs des impôts que les juifs devaient payer à l'empereur romain, et pour cette raison déjà ils étaient considérés comme des pécheurs publics. En outre, ils profitaient souvent de leur position pour extorquer de l'argent. C'est pourquoi Zachée était très riche, mais méprisé de ses concitoyens. Par conséquent lorsque, en traversant Jéricho, Jésus s'arrête justement chez Zachée, il suscite un scandale général. Mais le Seigneur savait très bien ce qu'il faisait. Il a en quelque sorte voulu prendre le risque et il a gagné son pari : profondément touché par la visite de Jésus, Zachée décide de changer de vie et promet de rendre le quadruple de ce qu'il a volé. Jésus dit : « Aujourd'hui, le salut est arrivé pour cette maison », et il conclut : « Le Fils de l'homme est venu pour chercher et sauver ce qui était perdu ».

Dieu n'exclut personne, ni les pauvres ni les riches. Dieu ne se laisse pas conditionner par nos préjugés humains, mais il voit en chacun une âme à sauver et il est spécialement attiré par celles qui sont considérées comme perdues et qui se considèrent telles. Jésus-Christ, incarnation de Dieu, a manifesté cette immense miséricorde, qui n'enlève rien à la gravité du péché, mais vise toujours à sauver le pécheur, et à lui offrir la possibilité de se racheter, de recommencer à zéro, de se convertir. Dans un autre passage de l'Evangile, Jésus affirme qu'il est très difficile à un riche d'entrer dans le Royaume des Cieux (cf. Matthieu 19, 23). Dans le cas de Zachée, nous voyons justement que ce qui semble impossible se réalise : « Il a donné sa richesse, commente saint Jérôme, et il l'a immédiatement remplacée par la richesse du Royaume des Cieux » (Homélie sur le Psaume 83, 3). Et saint Maxime de Turin ajoute : « Pour les sots, les richesses alimentent la malhonnêteté, pour les sages au contraire, elles aident à la vertu : à ceux-ci, elles offrent une occasion de salut, aux autres un obstacle qui les perd » (Sermons, 95).

Chers amis, Zachée a accueilli Jésus et s'est converti, parce que Jésus l'avait, le premier, accueilli chez lui ! Il ne l'avait pas condamné, mais il était allé au-devant de son désir de salut. Prions la Vierge Marie, modèle parfait de communion avec Jésus, afin que nous aussi nous puissions faire l'expérience de la joie d'être visités par le Fils de Dieu, d'être renouvelés par son amour, et de transmettre aux autres sa miséricorde.

Le Saint-Père s'adresse aux pèlerins francophones

Je salue cordialement les pèlerins francophones ! Présentant l’épisode de la conversion de Zachée, l’Évangile de ce jour nous enseigne que le regard de Dieu sur tout homme est habité par la toute-puissance de son amour. Chaque personne a une place privilégiée dans le cœur de Dieu, qui attend toujours le retour du pécheur à la pleine communion avec Lui. En ce dernier jour du mois du Rosaire, demandons à la Vierge Marie, Mère de miséricorde, de nous accompagner dans nos efforts de conversion. Bon dimanche à tous !

Texte original du discours du Saint Père ANGELUS

HOJE FESTA DE CRISTO REI

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http://www.rcclud.iway.na/Christ%20the%20King.JPGhttp://www.mountangelabbey.org/images/Christ-KIng.jpg
http://www.catholicculture.org/culture/liturgicalyear/pictures/ChristKing.jpghttp://www.andrewcusack.com/infantch8.jpghttp://www.turnbacktogod.com/wp-content/uploads/2008/09/christ-the-king-church-02.jpghttp://4.bp.blogspot.com/_w5zmQN20EOc/SbEp1DsAcaI/AAAAAAAADbI/tfitbYUT7ws/s400/philippines+quezon+city+christ+the+king+church+greenmeadows+altar.jpghttp://3.bp.blogspot.com/_7eam6s4rRUs/Swh8RBEwwfI/AAAAAAAAB2Q/UuQC070gcLw/s1600/Christ%2520King%5B1%5D.jpg

Christ the King in Chicago: Francis Cardinal George, the Archbishop of Chicago, has participated in the coronation and enthronement of a statue of the Holy Child at the new Shrine of Christ the King in that city.

Francis Cardinal George, the Archbishop of Chicago, has participated in the coronation and enthronement of a statue of the Holy Child at the new Shrine of Christ the King in that city. The church, formerly dedicated to St. Gelasius and St. Clara, was entrusted to the Institute of Christ the King Sovereign Priest, a group of priests dedicated to offering the traditional Latin Mass. The church had been shut down many years ago and the Institute received it in a dilapidated condition, immediately embarking upon essential repairs for the physical integrity of the building. While the renovations are by no means complete, a fine temporary trompe l’oeil reredos has been erected, and Cardinal George was invited to crown the centuries-old statue of the Infant Jesus which the Institute purchased for the Shrine.


His Eminence crowns the Christ-child…

…and the Holy Child is enthroned.

A Mass was then offered.

Afterwards, His Eminence met with various members of the parish, people from the neighborhood, and students from the University of Chicago.

Here is the church in 2006, when the first Mass was offered since it had been closed many years before…

…and here is the church today.

Long live Christ the King!
 
DE:http://www.andrewcusack.com/2008/01/07/christ-the-king-in-chicago/

Plinio Correa de Oliveira La Iglesia Católica fue fundada por Nuestro Señor Jesucristo para perpetuar entre los hombres los beneficios de la Redención.


EL REINO DE CRISTO
 
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Por lo tanto, la finalidad de la Iglesia  se identifica con la misma finalidad de la Redención. Esto es:
   1º Expiar los pecados de los hombres por los méritos infinitamente preciosos del Hombre-Dios;
   2º Restituir así a Dios la gloria extrínseca que el pecado le había robado y;
   3º Abrir a los hombres las puertas del cielo.
   Esta finalidad se realiza toda en el plano sobrenatural, y con vistas a la vida eterna. Ella trasciende absolutamente todo cuanto es meramente natural, terreno, perecible. Fue lo que Nuestro Señor Jesucristo afirmó, cuando dijo a Pilatos: “Mi reino no es de este mundo”. (Juan, XVIII, 36)
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   La vida terrena, por lo tanto, se diferencia profundamente de la vida eterna. Sin embargo, estas dos vidas no constituyen dos planos absolutamente aislados uno del otro. Hay en los designios de la Providencia una relación íntima entre la vida terrena y la eterna. La vida terrena es el camino, la vida eterna es el fin. El Reino de Cristo no es de este mundo, pero es en este mundo que está el camino por el cual llegaremos a él.
   Así como la Escuela Militar es el camino para la carrera de las armas, o el noviciado es el camino para el definitivo ingreso en una orden religiosa, así la tierra es el camino para el cielo.
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   Tenemos un alma inmortal, creada a imagen y semejanza de Dios. Esta alma es creada con un tesoro de aptitudes naturales para el bien, enriquecidas por el bautismo con el don inestimable de la vida sobrenatural de la gracia, que nos hace hijos de Dios y herederos del cielo. Nos compete, durante esta vida, desarrollar hasta su plenitud estas aptitudes para el bien. Con esto, nuestra semejanza con Dios, que era en algún sentido aun incompleta y meramente potencial, se torna plena y actual.
   La semejanza es la fuente del amor. Haciéndonos plenamente semejantes a Dios, somos capaces de amarlo plenamente y de atraer sobre nosotros la plenitud de su amor.
   Quedamos así, preparados para la contemplación de Dios cara a cara, y para aquél eterno acto de amor, plenamente feliz, para el cual somos llamados en el cielo.
   La vida terrena es, pues, un noviciado en que preparamos nuestra alma para su verdadero destino, que es ver a Dios cara a cara y amarlo por toda la eternidad.
   Presentando la misma verdad en otros términos, podemos decir que Dios es infini-tamente puro, infinitamente justo, infinitamente fuerte, infinitamente bueno. Para amarlo, debemos amar la pureza, la justicia, la fortaleza, la bondad. Si no amamos la virtud, ¿cómo podemos amar a Dios que es el Bien por excelencia? Por otro lado, siendo Dios el sumo Bien, ¿cómo puede El amar el mal? Siendo la semejanza la fuente del amor, ¿cómo puede amar El a quien es totalmente desemejante a El, a quien es conciente y voluntariamente injusto, cobarde, impuro, malo?
   Dios debe ser adorado y servido sobretodo en espíritu y en verdad (Juan, IV, 25). Así, es necesario que seamos puros, justos, fuertes buenos, en lo más íntimo de nuestra alma. Pero si nuestra alma es buena, todas nuestras acciones lo deben ser necesariamente, pues el árbol bueno no puede producir sino frutos buenos (Mateo, VII, 17-18). Así, es absolutamente necesario, para que conquistemos el cielo, no sólo que en nuestro interior amemos el bien y detestemos el mal, sino que por nuestras acciones practiquemos el bien y evitemos el mal.
   Pero la vida terrena es más que el camino de la eterna bienaventuranza. ¿Qué haremos en el cielo? Contemplaremos a Dios cara a cara a la luz de la gloria, que es la perfección de la gracia, y Lo amaremos eternamente y sin fin. Ahora bien, el hombre ya goza de la vida sobrenatural en esta tierra por el bautismo. La fe es una semilla de la visión beatífica. El amor de Dios, que el hombre practica creciendo en la virtud y evitando el mal, ya es el propio amor sobrenatural con que él adorará a Dios en el cielo.
El ideal de la perfección social
   Si admitiéramos que en determinada población la generalidad de los individuos practicase la ley de Dios, ¿qué efecto se puede esperar de allí para la sociedad?
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   Esto equivale a preguntarse si, en un reloj, cada pieza trabaja según su naturaleza y su fin, ¿qué efecto se puede esperar de allí para el reloj? O, si cada parte de un todo es perfecta, ¿qué se debe decir del todo?
   Hay siempre un riesgo en ejemplificar con cosas mecánicas, en asuntos humanos. Atengámonos a la imagen de una sociedad en que todos los miembros fuesen buenos católicos, trazada por San Agustín: imaginemos “un ejército constituido por soldados como los forma la doctrina de Jesucristo, gobernadores, maridos, esposos, padres, hijos, maestros, siervos, reyes, jueces, contribuyentes, cobradores de impuestos como los quiere la doctrina cristiana. ¡Y osen (los paganos) aún decir que esa doctrina es opuesta a los intereses del Estado! Por el contrario, deben reconocer sin dudar que ella es una gran salvaguarda para el Estado, cuando es fielmente observada” (Epist. CXXXVII, al. 5 ad Marcellinum, cap. II, n.15).
   Y en otra obra, el santo doctor apostrofando la Iglesia Católica exclama: “Conduces e instruyes a los niños con ternura, a los jóvenes con rigor, los ancianos con calma, como compete a la edad no solo del cuerpo sino también del alma. Sometes a las esposas a sus maridos, por una casta y fiel obediencia, no para saciar la pasión, sino para propagar la especie y constituir la sociedad doméstica. Confieres autoridad a los maridos sobre las esposas, no para que abusen de la fragilidad de su sexo, sino para que sigan las leyes de un sincero amor. Subordinas los hijos a los padres por una tierna autoridad. Unes no solo en sociedad, mas en una como que fraternidad los ciudadanos a los ciudadanos, las naciones a las naciones, y los hombres entre sí, por el recuerdo de sus primeros padres. Enseñas a los reyes a velar por los pueblos y prescribes a los pueblos que obedezcan a los reyes. Enseñas con solicitud a quien se debe la honra, a quien el afecto, a quien el respeto, a quien el temor, a quien el consuelo, a quien la advertencia, a quien el estímulo, a quien la corrección, a quien la reprimenda, a quien el castigo; y haces saber de qué modo, si no todas las cosas a todos se deben, a todos se debe la caridad y a nadie la injusticia” (De Moribus Ecclesiae, cap. XXX, n.63).
   Sería imposible describir mejor el ideal de una sociedad enteramente cristiana. ¿Podría en una sociedad el orden, la paz, la armonía, la perfección ser llevada a límite más alto? Una rápida observación nos basta para completar el asunto. Si hoy en día todos los hombres practicasen la Ley de Dios, ¿no se resolverían rápidamente todos los problemas políticos, económicos, sociales que nos atormentan? ¿Y qué solución se podrá esperar para ellos mientras los hombres viviesen en la inobservancia habitual de la Ley de Dios?
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   Se podría uno preguntar, ¿la sociedad humana realizó alguna vez este ideal de perfección? Sin duda que sí. Lo dice el inmortal Papa León XIII: operada la Redención y fundada la Iglesia, “como que despertando de antigua, larga y mortal letargia, el hombre percibió la luz de la verdad que había procurado y deseado en vano durante siglos; reconoció sobre todo que había nacido para bienes mucho más altos y mucho más magníficos que los bienes frágiles y perecibles que son alcanzados por los sentidos, y en torno a los cuales había hasta entonces circunscrito sus pensamientos y sus preocupaciones. Comprendió que toda la constitución de la vida humana, la ley suprema, el fin a que todo se debe sujetar, es que, venidos de Dios, un día debamos retornar a El.”   “De esta fuente, sobre este fundamento, se vio renacer la conciencia de la dignidad humana; el sentimiento de que la fraternidad social es necesaria hizo entonces pulsar los corazones; en consecuencia, los derechos y los deberes alcanzaron su perfección, o se fijaron íntegramente, y, al mismo tiempo, en diversos  puntos se expandieron virtudes tales, como la filosofía de los antiguos ni siquiera pudo jamás imaginar. Por esto, los designios de los hombres, la conducta de la vida, las costumbres, tomaron otro rumbo. Y cuando el conocimiento del Redentor se expandió a lo lejos, cuando su virtud hasta las fibras íntimas de la sociedad, disipando las tinieblas y los vicios de la antigüedad, entonces se operó aquella transformación que, en la era de la Civilización Cristiana, mudó enteramente la faz de la tierra” (León XIII, Encíclica “Tamesti futura prospiscientibus”, 1/IX/1900).
   El Reino de Dios se realiza en su plenitud en el otro mundo. Pero para todos nosotros, él se comienza a realizar en estado germinativo ya en este mundo. Tal como en un noviciado ya se practica la vida religiosa, aunque en estado preparatorio; y en una escuela militar, un joven se prepara para el ejército, viviendo la propia vida militar.
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   Y la Santa Iglesia Católica ya es en este mundo una imagen, y más que esto, una verdadera anticipación del cielo.
   Por esto, todo cuanto los santos Evangelios nos dicen del reino de los cielos puede con toda propiedad y exactitud ser aplicado a la Iglesia Católica, a la fe que ella nos enseña, a cada una de las virtudes que ella nos inculca.
   Este es el sentido de la fiesta de Cristo Rey. Rey celestial ante todo. Pero Rey cuyo gobierno ya se ejerce en este mundo. Es rey quien posee de derecho la autoridad suprema y plena. El rey legisla, dirige y juzga. Su realeza se hace efectiva cuando sus súbditos reconocen sus derechos y obedecen a sus leyes. Ahora bien, Jesucristo posee sobre nosotros todos los derechos. El promulgo leyes, dirige el mundo y juzgará a los hombres. Debemos, por lo tanto, tornar efectivo el Reino de Cristo obedeciendo sus leyes.
   Este reinado es un hecho individual, en cuanto considerado en la obediencia que cada alma fiel presta a Nuestro Señor Jesucristo. En efecto, el reinado de Jesucristo se ejerce sobre las almas: y por esto, el alma de cada uno de nosotros es una parcela del campo de jurisdicción de Cristo Rey. Ahora bien, el reinado de Cristo será un hecho social si las sociedades humanas le prestaren obediencia.
   Se puede decir, que el Reino de Cristo se hace efectivo en la tierra en su sentido individual y social, cuando los hombres en lo íntimo de su alma como en sus acciones, y las sociedades en sus instituciones, leyes, costumbres, manifestaciones culturales y artísticas, se conforman con la Ley de Cristo.
El orden, la armonía, la paz y la perfección
   El orden, la paz, la armonía, son características esenciales de toda alma bien formada, de toda sociedad humana bien constituida. En cierto sentido, son valores que se confunden con la propia noción de perfección.
   Todo ser tiene un fin que le es propio, y una naturaleza adecuada a la obtención de ese fin. Así, una pieza de reloj tiene un fin que le es propio, y por su forma y composición, es adecuada a la realización de su fin.
   El orden es la disposición de las cosas según su naturaleza. Así, un reloj está en orden, si cada una de sus piezas están ordenadas según su naturaleza y el fin que le es propio. Se dice que hay orden en el espacio sideral porque todos los cuerpos celestes están ordenados según su naturaleza y su fin.
   Existe armonía cuando las relaciones entre los seres son conformes a la naturaleza y fin de cada cual. La armonía es el operar de las cosas, unas en relación a las otras, según el orden.
   El orden engendra la tranquilidad. La tranquilidad del orden es la paz. No cualquier tranquilidad merece ser llamada paz, sino tan solo la que resulta del orden. La paz de conciencia es la tranquilidad de la conciencia recta: no puede confundirse con el letargo de la conciencia embotada. El bienestar orgánico produce una sensación de paz que no puede ser confundida con la inercia del estado de coma.
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   Cuando un ser está enteramente dispuesto según su naturaleza, está en estado de perfección. Así, una persona con gran capacidad para el estudio, gran deseo de estudiar, puesta en una universidad en que haya todos los medios para hacer los estudios que desea, está puesta, desde el punto de vista de los estudios, en condiciones perfectas.
   Cuando las actividades de un ser están enteramente dispuesto según su naturaleza, y tienden enteramente para su fin, estas actividades son, de algún modo, perfectas. Así, la trayectoria de los astros es perfecta, porque corresponde enteramente a la naturaleza y al fin de cada cual.
   Cuando las condiciones de un ser son perfectas, sus operaciones lo son también, y él tenderá necesariamente para su fin, con el máximo de la constancia, del vigor y del acierto. Así, si un hombre está en condiciones perfectas para caminar, es decir, sabe, quiere y puede caminar, caminará de modo irreprensible.
   El verdadero conocimiento de lo que sea la perfección del hombre y de las sociedades depende de una noción exacta sobre la naturaleza y del fin del hombre.
   El acierto, la fecundidad, el esplendor de las acciones humanas, sean individuales o sean sociales, también depende del conocimiento de nuestra naturaleza y fin.
   En otros términos, la posesión de la verdad religiosa es la condición esencial del orden, de la armonía, de la paz y de la perfección.
La perfección cristiana
   El Evangelio nos señala un ideal de perfección: “sed perfectos como vuestro Padre celestial es perfecto” (Mateo, V, 48). Este consejo que nos fue dado por Nuestro Señor Jesucristo, El mismo nos lo enseña a realizar. En efecto, Jesucristo es la semejanza absoluta de la perfección del Padre celestial, es el modelo supremo que todos debemos imitar.
   Nuestro Señor Jesucristo, sus virtudes, sus enseñanzas, sus acciones, son el ideal definido de la perfección para el cual el hombre debe tender.
   Las reglas de esta perfección se encuentran en la Ley de Dios, que Nuestro Señor Jesucristo “no vino a abolir sino a completar” (Mat. V, 17), y en los preceptos y consejos evangélicos. Y para que el hombre no cayese en error en el interpretar los mandamientos y los consejos, Nuestro Señor Jesucristo instituyó una Iglesia infalible, que tiene el amparo divino de nunca errar en materia de fe y de moral. La fidelidad de pensamiento y de acciones en relación al magisterio de la Iglesia es el modo por el cual todos los hombres pueden conocer y practicar el ideal de perfección que es nuestro Señor Jesucristo.
   Fue lo que hicieron los santos, que practicando de modo heroico las virtudes que la Iglesia enseña, realizaron la imitación perfecta de Nuestro Señor Jesucristo y del Padre celestial. Es tan verdadero que los santos llegaron a la más alta perfección moral, que los propios enemigos de la Iglesia, cuando no los ciega el furor de la impiedad, lo proclaman. De San Luis, rey de Francia, por ejemplo, escribió Voltaire: “No es posible al hombre llevar más lejos la virtud”. Lo mismo se podría decir de todos los santos.
   Dios es el autor de nuestra naturaleza, y, por lo tanto, de todas las aptitudes y excelencias que en ella se encuentran. En nosotros, lo único que no proviene de Dios son los defectos frutos del pecado original y de los pecados actuales.
   El Decálogo no podría ser contrario a la naturaleza que el propio Dios creó en nosotros; pues, siendo Dios perfecto, no puede haber contradicción en sus obras.
   Por esto, el Decálogo nos impone acciones que nuestra propia razón nos muestra que son conformes con la naturaleza, como honrar padre y madre, y nos prohíbe acciones que por la simple razón vemos que son contrarias al orden natural, como la mentira.
   En esto consiste, en el plano natural la perfección  intrínseca de la Ley, y la perfección personal que adquirimos practicándola. Esto es así, porque todas las acciones confor-mes a la naturaleza del agente son buenas.
   Pero, por consecuencia del pecado original, quedó el hombre con propensión a practicar acciones contrarias a su naturaleza rectamente entendida. Así, quedó sujeto al error en el terreno de la inteligencia, y al mal en el campo de la voluntad. Tal propensión es tan acentuada que, sin el auxilio de la gracia, no sería posible a los hombres conocer ni practicar durablemente los preceptos del orden natural. Para remediar esta insuficiencia en el hombre, Dios reveló a Moisés el Decálogo; instituyó en la Nueva Alianza, una Iglesia destinada a protegerlos contra los sofismas y las transgresiones del hombre; por medio de los Sacramentos los auxilia y fortalece con su gracia.
   La gracia es un auxilio sobrenatural, destinado a robustecer la inteligencia y la voluntad del hombre para permitirle la práctica de la perfección. Dios no niega su gracia a nadie. La perfección es, por lo tanto, accesible a todos.
   ¿Puede un pagano conocer y practicar la Ley de Dios? ¿Recibe él la gracia de Dios? Es necesario distinguir. En principio, todos los hombres que tienen contacto con la Iglesia Católica reciben la gracia suficiente para conocer que ella es verdadera, ingresar en ella y practicar los mandamientos. Si alguien se mantiene voluntariamente fuera de la Iglesia, si es infiel porque rehúsa la gracia de la conversión, que es el punto de partida de todas las otras gracias, cierra para sí las puertas de la salvación. Pero si alguien no tiene medios de conocer a la Santa Iglesia – un pagano, por ejemplo, cuyo país no haya recibido la visita de misioneros – tiene la gracia suficiente para conocer, por lo menos, los principios más esenciales a la Ley de Dios y practicarlos, pues Dios a nadie niega la salvación.
   Es necesario, sin embargo, observar que si la fidelidad a la Ley exige sacrificios a veces heroicos de los propios católicos que viven en el seno de la Iglesia, bañados por la superabundancia de la gracia y de todos los medios de santificación, mucho mayor aún es la dificultad que tienen en practicarla los que viven lejos de la Iglesia, y fuera de esta superabundancia. Es lo que explica el hecho de ser tan raros – verdaderamente excepcionales – los gentiles que practican la Ley.
La Civilización Cristiana y la Cultura Cristiana
   ¿Qué es esta luminosa realidad, hecha de un orden y una perfección más sobrenatu-ral y celeste que natural y terrena, que se llamó Civilización Cristiana, producto de la cultura cristiana, la cual, a su vez, es hija de la Iglesia Católica?
   Por cultura del espíritu podemos entender el hecho que determinada alma no se encuentra abandonada al juego desordenado y espontáneo de las operaciones de las potencias – inteligencia, voluntad y sensibilidad –, sino que por el contrario, por un esfuerzo ordenado y conforme a la recta razón adquirió en estas tres potencias algún enriquecimiento: así como el campo cultivado no es aquél que hace fructificar todas las semillas que el viento deposita en él caóticamente, sino es el que, por efecto del trabajo recto del hombre, produce algo de útil y bueno.
   En este sentido, la cultura católica es el cultivo de la inteligencia, de la voluntad y de la sensibilidad según las normas y la moral enseñada por la Iglesia. Ya vimos que ella se identifica con la propia perfección del alma. Si ella existiere en la generalidad de los miembros de una sociedad humana (aunque en grados y modos acomodados a la condición social y a la edad de cada cual) ella será un hecho social y colectivo. Y constituirá un elemento – el más importante – de la propia perfección social.
   Civilización es el estado de una sociedad humana que posee una cultura, y que creó, según los principios básicos de esta cultura, y que creó, todo un conjunto de costumbres, de leyes, de instituciones, de sistemas literarios y artísticos propios.
   Si Jesucristo es el verdadero ideal de perfección de todos los hombres, una sociedad que aplique todas sus leyes tiene que ser una sociedad perfecta. La cultura y la civilización nacida de la Iglesia de Cristo tienen que ser forzosamente no solo la mejor civilización, sino la única verdadera. Lo dice al santo Pontífice Pío X: “No hay verdadera civilización sin civilización moral, y no hay verdadera civilización moral sino con la religión verdadera” (Carta al episcopado francés del 28-VII-1910, sobre Le Sillon). De donde se deduce con evidencia cristalina que no hay verdadera civilización sino como resultado y fruto de la verdadera religión.
La Iglesia y la Civilización Cristiana
   Se engaña singularmente quien supusiere que la acción de la Iglesia sobre los hombres es meramente individual, y que ella solo forma personas, y no pueblos, ni culturas, ni civilizaciones.
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   En efecto, Dios creó al hombre naturalmente sociable, y quiso que los hombres, en sociedad, trabajasen los unos por la santificación de los otros. Por esto, también nos creó influenciables. Tenemos todos, por la propia presión del instinto de sociabilidad, la tendencia de comunicar en cierta medida nuestras ideas a los otros, y, a recibir la influencia de ellos. Esto se puede afirmar en las relaciones de individuo a individuo, y del individuo con la sociedad. Los ambientes, las leyes, las instituciones en que vivimos ejercen efecto sobre nosotros, tiene sobre nosotros una acción pedagógica.
   Resistir enteramente a este ambiente, cuya acción ideológica nos penetra hasta por osmosis y como que por la piel, es obra de alta y ardua virtud. Y por esto los primitivos cristianos no fueron más admirables enfrentando a las fieras del Coliseo, que cuando mantenían íntegro su espíritu católico aún viviendo en el ceno de una sociedad pagana.
   De este modo, la cultura y la civilización son medios fortísimos para actuar sobre las almas. Actuar para su ruina, cuando la cultura y la civilización son paganas. Para su edificación y salvación, cuando son católicas.
   ¿Cómo puede entonces, la Iglesia desinteresarse en producir una cultura y una civilización, contentándose sólo en actuar sobre cada alma a título meramente individual?
   Además, toda alma sobre la cual la Iglesia actúa, y que corresponde generosamente a esa acción, es como un foco y una simiente de esta civilización, que ella expanda y activa en torno de sí. La virtud trasparece y contagia. Contagiando se propaga. Actuando y propagándose tiende a transformarse en cultura y civilización católicas.
   Como vemos, lo propio de la Iglesia es producir una cultura y civilización cristiana. Es producir todos sus frutos en una atmósfera social plenamente católica. El católico debe aspirar a una civilización católica como el hombre encarcelado en un subterráneo desea el aire libre, y el pájaro aprisionado ansía por recuperar los espacios infinitos del cielo.
   Y esta es nuestra finalidad, nuestro gran ideal. Caminamos hacia la Civilización Católica como podrá nacer de los escombros del mundo de hoy, como de los escombros del mundo romano nació la civilización medieval. Caminamos hacia la conquista de este ideal, con el coraje, la perseverancia, la resolución de enfrentar y vencer todos los obstáculos, con que los cruzados marcharon hacia Jerusalén. Porque si nuestros mayores supieron morir para conquistar el sepulcro de Cristo, ¿cómo no queremos nosotros – hijos de la Iglesia como ellos – luchar y morir para restaurar algo que vale infinitamente más que el preciosísimo sepulcro del Salvador, esto es, su reinado sobre las almas y las sociedades, que El creó y salvó para que Lo amasen eternamente?
DE:http://www.elcruzado.org/?q=node/63