quarta-feira, 19 de março de 2014

La visione del Cristo cosmico (Bede Griffiths)




Il seguente testo è tratto dal volume, che consiglio vivamente ai lettori:
Vincenzo Noja (cur.), Testi mistici per la contemplazione di Dio, Borla, 2006.
Ringrazio il curatore per l'autorizzazione a pubblicarlo.




Bede Griffiths (1906-1993)


(La visione del Cristo Cosmico)


Ogni religione ha contribuito alla crescita del Cristo Cosmico. Esso è formato da tutti coloro che, in linguaggio indù, hanno in qualche misura preso coscienza dell’Io nella profondità del proprio essere”.[1]


Per Padre Bede il Corpo di Cristo non può essere mai limitato alla Chiesa visibile e ancor meno ad una tradizione ecclesiastica, ma in esso egli vede il riferimento dell’uomo al vero Io, la “nostra speranza di gloria”, come dichiara san Paolo.

La spiritualità di Padre Bede si basa innanzitutto sull’inabitazione dello Spirito divino nell’uomo. Questa non è solo consapevolezza di Dio in relazione solo all’essere umano ma in tutta la creazione (Aurobindo-Teilhard de Chardin).

Come il suo confratello Henri le Saux, egli vede nella Trinità, la comunità degli esseri con Dio e, strettamente congiunti, il mistero di Dio e il mistero umano.

Bede fu monaco benedettino, nacque nel 1906 in Inghilterra (Walton-on-Thames).

Dal 1955 fino alla sua morte visse in India, dal 1968 in poi guidò per venticinque anni l’Ashram indo-cristiano Saccidanananda nell’India meridionale, fondato precedentemente dal benedettino francese Henri le Saux. Sotto la guida di Padre Griffiths l’Ashram divenne un centro mondiale per gli incontri ecumenici delle religioni; egli concepì Saccidananda (“l’eremo della Trinità”)

come luogo d’incontro per i fedeli di tutte le tradizioni religiose alla ricerca della verità interiore, dell’essenziale unità in Cristo.

Per oltre trent’anni Bede Griffiths operò per comunicare la sua concezione del Cristo Cosmico e ricercare l’unità tra le religioni nella profonda condivisione del mistero di Dio nell’uomo e nel creato; in particolare egli operò nella ricerca della comunione spirituale indo-cristiana, pur riconoscendo le profonde diversità, a livello di dottrina e di credenze, esistenti tra le due tradizioni religiose.

Padre Griffiths fu autore di alcune opere mistiche molto significative per l’esperienza contemplativa di Dio, alcune desunte dalle sue conferenze; citiamo in particolare: Il Cristo Universale (The universal Christ) e Ritorno al centro.


L’ ESPERIENZA ASSOLUTA DI DIO

(Il Mistero dell’Amore)


Quando noi preghiamo Dio nella profondità dell’anima, Egli è in noi e noi siamo in Lui.

Questa non dualità del nostro spirito con lo Spirito di Dio ci viene rivelata dal Vangelo di Giovanni, quando Gesù prega così per i suoi apostoli: “…che essi siano tutti in uno, come Tu, Padre sei in me ed io in Te (…) io in loro e Tu in me, così essi giungeranno alla perfetta unione”[2]. Questa preghiera è il coronamento di tutte le religioni.

Con essa veniamo chiamati ad entrare nel mistero nascosto della Divinità, prendendo parte con, e attraverso, Gesù alla conoscenza e all’amore di Dio. (…)

Questa è la rivelazione cristiana. L’uomo che entra nel Mistero divino, che partecipa all’amore e alla conoscenza, che diventa egli stesso Divinità.

Divinità è comunione e conoscenza dell’amore. Noi tutti possiamo

parteciparvi, questa è la nostra vocazione. “Non soltanto in questi prego, ma prego anche per quelli che crederanno in me per la loro parola; affinché siano tutti una cosa sola come tu sei in me, o Padre, ed io in te; che siano anch’essi una sola cosa in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. La gloria che tu mi desti io l’ho data loro, affinché siano una cosa sola, come noi siamo una cosa sola, io in essi e tu in me, affinché siano perfetti nell’unità…(Gv 17,

20-23)[3].

Per questo la contemplazione è molto importante. I rituali sono belli e importanti; la santa Messa ha un significato centrale. Ma anche qui noi usiamo simboli esteriori: chiese, candele, crocifissi, paramenti, pane e vino. Tutte queste cose sono esteriori e il mistero appare attraverso questi simboli. I quali, però, qualche volta potrebbero distoglierci. Anche in una chiesa ci sono tante possibilità di venire distratti e distolti dal Divino. Ma quando, con la contemplazione, superiamo l’apparenza esteriore ed entriamo nella sfera del silenzio, possiamo incontrare lo Spirito di Dio, lo Spirito di Gesù, e così prendiamo parte alla perfetta unione del cuore. Un unione con Dio e Gesù che non è duale. Non siamo per molto tempo due, ma siamo una cosa sola, una cosa sola nella diversità. Noi siamo una cosa sola in una sola relazione. Le persone della Trinità stanno in un rapporto duraturo di unicità. Amore è dinamica. Non è una singola opportunità. I due che insieme sono uno, penetrandosi a vicenda, diventano reciprocamente uno, questo è un rapporto non duale, è un mistero indicibile. Qui ci guida il Vangelo.

È l’unione dell’amore, in cui ognuno è nell’altro e non c’è più nessuno.

È il mistero dell’amore: due diventano più di essi stessi quando trovano la completezza nell’amore. Questa è la nostra contemplazione cristiana che dovrebbe guidarci all’assoluta esperienza di Dio. Dio ci chiama a questo modo di contemplare, a quest’esperienza di Dio nel nascosto segreto del cuore.

Gli uomini di tutto il mondo vengono lì condotti, qualcuno come induista, qualche altro come buddista. Spesso essi hanno conosciuto il mistero cristiano in modo inadeguato e perciò vedono il Cristianesimo come una religione superficiale di “conformisti”, che non soddisfa sufficientemente i veri ricercatori di Dio. Noi dovremo far chiaro che esiste un mistero cristiano che corrisponde al profondo bisogno della natura umana e che può essere rivelato come consapevolezza e beatitudine nelle profondità dell’anima. A questo dono noi ci dedichiamo attraverso la contemplazione. Questa è la vera sfida.

(Göttliche Gegenwart, op. cit., pp. 103-106)


LA PREGHIERA


Pregare significa entrare coscientemente nella comunione con Dio o con la Sorgente. Al suo punto più alto, la preghiera diventa contemplazione. Qui essa è senza parole. È un mescolarsi della coscienza umana con il Divino.

Al centro dello stato di preghiera c’è la quiete della mente “Siate calmi, e sappiate che io sono Dio” dice il Salmista (Sal 46,11).

La preghiera fervente apre un canale tra l’anima e Dio. Così c’è intercomunione tra l’umano e il Divino.

La preghiera deriva dalla meditazione, nel senso che la seconda prepara il terreno alla prima. La preghiera può essere concepita come una discesa nelle profondità del cuore.

(Il Cristo universale, op. cit. pp.119-120)


LA VISIONE DI DIO


Avere parte alla visione di Dio, significa che noi siamo andati al di là di tutti i concetti della mente razionale e di tutte le immagini derivate dai sensi.

Dobbiamo entrare nel mondo della non – dualità, in cui il nostro attuale modo di coscienza viene trasceso.

Cosí noi entriamo in quella “divina oscurità”di cui parla Dionigi, la quale appare oscura soltanto perché è pura luce.

Dobbiamo salire a questo stato di “non conoscenza” in cui ogni conoscenza umana sbiadisce, e conosceremo veramente “addirittura come siamo conosciuti”.

In questa visione dell’ultimo mistero dell’essere, che è l’inizio e la fine di tutte le nostre aspirazioni umane, indú, buddisti e cristiani si ritrovano uniti, e in Dio tutte le differenze che appaiono in natura, e tutte le distinzioni note alla mente umana, vengono trascese.

(Ib., pp.109-110)


IL MONDO DELLA RESURREZIONE


È un’illusione pensare che il Regno di Dio si realizzerà in questo mondo o che sulla terra si stabiliranno durevolmente pace e gioia.

Questa è la grande “maya” o illusione che inganna il mondo e copre la verità.

L’illusione nasce dal rifiuto di affrontare la morte.

Per coloro che cercano la realizzazione in questo mondo, la morte è una fine, una barriera che non può essere oltrepassata. Ma per coloro che muoiono ben disposti, la morte è il passaggio alla vita eterna.

Il nuovo mondo che noi cerchiamo è il mondo della resurrezione. Anche se questo mondo è già presente tra noi perché “il regno dei cieli è in mezzo a voi”(Lc 17,21). La morte è il varco verso una nuova coscienza, una coscienza che è al di là dei sensi e al di là della mente e si apre sull’eterno e sull’infinito.

Per ora possiamo coglierne solo dei bagliori, ma essa parla attraverso il mondo.

“Le cose di prima sono passate… Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,45).

(Ib., pp. 117-118).


ESSERE CALMI


La calma interiore è necessaria se vogliamo avere il perfetto controllo delle nostre facoltà e se vogliamo udire la voce dello Spirito che ci parla.

Non può esserci calma senza disciplina, e la disciplina del silenzio esteriore ci può aiutare a trovare la tranquillità interiore che è il cuore dell’autentica esperienza religiosa. Nella meditazione noi facciamo dei passi per ottenere questa calma. Rendiamo quieto il nostro corpo e le nostre emozioni, quindi gradualmente permettiamo alla mente di fissarsi su un sol punto.

La calma interiore di un individuo può influire oltre misura sulla società.

(Ib., 78)




[1] Il Cristo Universale, p.17
[2] Gv 17, 1-26
[3] Il brano evangelico è stato aggiunto da me.